I ravioli della nonna, consolazione post-elettorale

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Pur non avendo votato, lunedì sera sono tornata a casa con il morale sotto i tacchi. Per citare una lettera ad Italians dell’altro ieri: In ogni nazione si paventa un paese spaccato in due, ma noi siamo riusciti a superarci: siamo infatti spaccati in tre.

Avevo proprio bisogno di qualcosa che mi distraesse e/o confortasse. Ho quindi pensato bene di tirare fuori da freezer gli ultimi ravioli della nonna, surgelati due settimane fa. Li ho conditi con un sughetto di pomodori freschi saltati in padella con aglio e olio, e una generosa grattata di pecorino sopra. Un bel piatto tricolore in onore della mia povera Patria e una bottiglia di Sauvignon Blanc, seguiti da due vecchie puntate di Sex And The City e una di Pan Am. Ho dormito malissimo.

I ravioli, poverelli, non hanno sortito l’effetto rinfrancante che speravo, ma l’errore è stato tutto mio: mai investire di troppa responsabilità un piatto di ravioli. Che di loro erano, effettivamente, buonissimi.

Questa di preparare i ravioli secondo la ricetta originale della nonna era diventata un po’ la mia nemesi. Il penultimo tentativo era stato addirittura una cooperazione internazionale. Per Capodanno infatti, il Fidanzato Asburgico ed io, siamo stati ospiti della Mia-Gemella-Separata-Alla-Nascita e di suo marito in quel di Londra. Cinque giorni di perfezione assoluta – almeno secondo il nostro metro. Niente party stravaganti, niente pub crawl, niente pub hopping, nemmeno un cinemino. Il primo giorno siamo andati a fare una spesona gigante al supermercato, per poi chiuderci in casa. Gli uomini a chiacchierare e ascoltare musica, io e La Gemella in cucina. La mia definizione di una bella vacanza.

Per il cenone di San Silvestro avevamo preparato i ravioli di carne, ma temo che la nonna non avrebbe approvato in pieno. Per prima cosa avevamo usato carne tritata – e per la nonna il passaggio nel tritacarne era un rito quasi religioso. Al posto della pancetta avevamo poi usato avanzi un “bologna” vagamente misterioso recuperati in frigo, una via di mezzo tra prosciutto cotto e mortadella, e qui sono sicurissima che la nonna avrebbe scosso il capo amareggiata. Non li avevamo nemmeno preparati con la formella smaltata, che avevo dimenticato a Vienna, mentre quella della Gemella l’avremmo comprata solo l’ultimo giorno prima di ripartire. I ravioli londinesi erano ottimi, non ci piove, e con gli ospiti d’Albione abbiamo fatto un figurone, ma non avevo avuto cuore di spuntare i ravioli della nonna dalla lista.

Due settimane fa mi ero quindi accinta a espletare l’operazione strettamente vintage. Tutti gli ingredienti pronti, santa pazienza, macchinetta della pasta a manovella tramandata da generazioni, tritacarne, formella smaltata anni ’50. Ad avere la cucina a gas (il mio cruccio più grande) non avrei nemmeno avuto bisogno dell’allaccio alla rete elettrica. Se non è vintage questo!

Memore delle esperienze precedenti avevo cominciato alle dieci di mattina. La lungimiranza paga sempre.

Stavolta non ho sgarrato nemmeno di una virgola, nemmeno di una fetta di prosciutto. E verso le due e mezza del pomeriggio ho finalmente usato la formella dei ravioli, che conosco da che sono bambina, che ho in casa da un anno e mezzo, ma che non avevo mai avuto modo di usare.

Tanto più ridicola è stata quindi la sorpresa nell’osservare il risultato: una marea di raviolini larghi un pollice, tutti uguali, tutti schifosamente perfetti. Sembravano industriali.

Che sia forse questa l’aspirazione della cuoca anni ’50? Ravioli fatti in casa che sembrino comprati?

Quando ci ho grattato sopra il Parmigiano – con il lato grosso della grattugia, che mi pare sempre più elegante – ho avuto un moto di ribrezzo estetico. Per quanto deontologicamente corretto, non ho avuto cuore di micronizzare il formaggio come faceva sempre la nonna. Perdono, nonna, ma tua nipote cucina nel 2013!