La pasta con le sarde

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Nel gruppo gastro-letterario di cui faccio parte su facebook ci sono due regine indiscusse (almeno nella mia fantasia). Una di loro è Ginevra, la nostra regina ai fornelli.

Facebook produce fenomeni strani e interessanti. E la bravura di Ginevra è indiscussa, nonostante io non abbia mai mangiato nemmeno un uovo al tegamino cucinato da lei. Io Ginevra l’ho vista – letteralmente – solo in foto. Non importa, lei è la più brava, e io ci credo ciecamente – credo si chiami fiducia per interposta persona.

Ginevra è una figura imperscrutabile, di una gentilezza squisita, con un senso dell’umorismo raffinatissimo, e di una modestia assurda. No, perché a chiederle un parere su un tema qualunque, lei risponde sempre esitante: “mah, sai, io non ci capisco niente, mi intendo solo di cucina!”. E una le potrebbe anche credere, se venti minuti dopo non rispondesse ad una richiesta d’aiuto con la traduzione in francese di una frase dalla sintassi complicatissima. Ginevra infatti è l’esatto contrario di una povera scema e in teoria dovrebbe avere un ego grande come una casa. Madrelingua in italiano, inglese e francese, ha una piccola famiglia che le vuole un mondo di bene, lavora a tempo pieno, ha mille interessi. Una donna, un mistero; devo organizzarmi in fretta per incontrarla di persona.

Tra le qualità che più ammiro in Ginevra, c’è la perseveranza di cucinare qualcosa di nuovo quasi ogni giorno. Come sempre apprezziamo molto negli altri le qualità che ci sembra manchino a noi. Io, infatti, quando trovo una ricetta che mi piace, la cucino senza sosta per settimane, fino a che non ci esce dagli occhi e il Fidanzato Asburgico mi implora di piantarla. Solo allora la smetto, e poi dimentico la ricetta per anni. O anche per sempre.

L’altra mattina Ginevra ha postato la foto di un piatto di pasta che aveva preparato la sera prima. A voler essere del tutto onesti, dalla foto non pareva particolarmente ghiotto. Pasta con le sarderecitava il testo. Mi sono incuriosita, perché era un giorno infrasettimanale e nemmeno la fortissima Ginevra poteva aver avuto il tempo di lavare, pulire, infarinare e friggere le sarde, per poicominciare a preparare la pasta, e servire un pelo prima delle sette e mezza. Perché Ginevra non piazza mai il marito sul divano alle otto e un quarto con un bicchiere di vino bianco e non gli dice “stai buono lì e aspetta, ora preparo la cena, un’ora e mezza e passa la paura”. Loro mangiano ad orari civili.

“Come l’hai preparata?”

“È una variante veloce ed economica, con olio, cipolla, capperi, prezzemolo, sardine in scatola e il pangrattato tostato nell’olio”.

Ho drizzato le orecchie come un bracco. La pasta con le sarde l’ho mangiata l’ultima volta nell’estate del 2011 in Sicilia, e da allora provo un pizzico di malinconia ogni volta che ci ripenso. E se qualcuno storce il naso all’idea di sostituire pesce fresco con pesce in scatola, ve lo dico subito:questo e altro, dopo undici anni in Austria!

La foto di Ginevra non era un granché, ma il semplice fatto che la ricetta uscisse dalla sua cucina è una garanzia di qualità. Più tardi ho fatto una breve chiacchierata al telefono con mia mamma e le ho raccontato della pasta con le sarde dei poveri. L’idea di sostituire due ore di lavoro su pesci morti con una scatoletta dall’apertura a strappo ha affascinato immediatamente anche lei. Ho dovuto promettere di farle sapere come fosse venuta la pasta. “In settimana la provo anch’io per papà”.

Appena uscita dal lavoro sono corsa al supermercato a comprare le sardine.

Entrata in casa ho trovato il Fidanzato Asburgico che lavorava come un forsennato davanti al computer. Aveva ancora su i pantaloni del pigiama, i capelli spettinati, gli occhi cerchiati di rosso, la barba lunga e si era dimenticato di mangiare tutto il giorno. Gli ho fatto una carezza sulla testa e gli ho detto “ti preparo un piattone di pasta!”. Mi ha guardata e il suo viso stravolto si è aperto in un sorrisone innocente. Non ha aperto bocca, ma non me la sono presa. Conosco il mio pollo e probabilmente aveva solo paura di perdere i filo logico di quello che stava facendo. Il Fidanzato Asburgico adora la pasta, sempre.

Quando era quasi pronto ho gridato dalla cucina “Tesoro! Cinque minuti!”. Il Fidanzato Asburgico, che nel frattempo si era passato una mano tra i capelli a aveva infilato un paio di jeans, è comparso in soggiorno e ha chiesto cosa stessi preparando. “Pasta con le sardine in scatola” ho risposto sovrappensiero. Il suo sguardo perplesso mi ha offesa un po’, ho quindi aggiunto in fretta “È una ricetta di Ginevra!”. Il Fidanzato Asburgcio ha sentito parlare parecchio delle ricette di Ginevra, e si è subito tranquillizzato.

La pasta con le sarde dei poveri è venuta fuori una meraviglia. Come poteva essere diversamente? Non sarà una ricetta olimpica, ma sicuramente è assunta tra le ricette standard per la pasta, da cucinare quando non ho un’idea migliore. Da aggiungere quindi al classico sugo cipolle e pomodoro, all’aglio e olio bastardo della nonna (con aggiunta di alici sott’olio e un chilo di prezzemolo), e agli spaghetti saltati in padella con uno spiccio d’aglio e una manciata d pomodorini Pachino.

A parte il ciuffo di prezzemolo, infatti, per preparare la pasta con le sarde dei poveri non serve andare al supermercato con una lista della spesa lunga un metro. Pasta, olio, sale, capperi, tutto a norma in dispensa. E a organizzarsi con due scatole di sardine il gioco è fatto.

Unico difetto che ho trovato in questa ricetta è che bisogna sporcare due padelle, una grande dove preparare il sugo e saltare gli spaghetti, e una piccola per il pangrattato. Per amore di onestà aggiungo che in compenso non si sporca la grattugia del parmigiano, e che la padella per il pangrattato può essere tranquillamente un padellino minuscolo, tipo quello in fondo allo scaffale, che è tanto carino ma non so mai bene cosa farne.

Un altro dettaglio che probabilmente non piacerà a mamma è che per preparare questa ricetta ci vuole un litro d’olio. Sospetto non la farà mai.

 

EPILOGO: Finito di mangiare – un attimo prima delle dieci – ho ovviamente postato la foto della mia creazione sul gruppo facebook. Immaginate il mio dispiacere quando, al posto del giubilo che ero convinta mi spettasse di diritto, sono stati lì tutti a disquisire mezz’ora sul pangrattato che sembrava ragù!