The Scalogno Project – 3/60 Melanzane alla menta

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Dopo la botta di colesterolo dei bucatini all’Amatriciana ero diventata un po’ sospettosa. Meno male, quindi, che la ricetta numero tre era una roba tranquilla, melanzane alla menta. Anzi, quando l’avevo raccontato al Fidanzato Asburgico – che si era fatto questa strana idea che le ricette dello Scalogno fossero tutte piatti unici – aveva commentato

“Insieme però ci facciamo un bel bisteccozzo, vero?”.

Sabato pomeriggio sono andata al supermercato. Nonostante avessi a disposizione un fine settimana piuttosto lungo, avevo troppo ordine da fare in casa e non sono riuscita ad andare al mercato come mi ero ripromessa. A cercare due melanzane lunghe non troppo grosse, ma soprattutto sode, perché indice di freschezza. A metà ottobre, sigh.

Andare al supermercato di primo pomeriggio, comunque, ha i suoi vantaggi rispetto alle solite 20:45, un quarto d’ora prima che chiuda. Ho visto cose… ma andiamo con ordine. Sabato era una rara giornata da vedova bianca, il Fidanzato Asburgico era in giro per concerti e io non l’ho accompagnato. Avevo una montagna di scatoloni pieni di vestiti invernali da svuotare, ed era pure urgente, fuori fa un freddo becco da settimane. Le melanzane perfette le ho trovate nel bancone della verdura biologica, due identiche, lunghe, sode, perfette. Le ho comprate sollevata, nonostante fossero in una tazzina di cartone incartata con il cellophane. E costassero 2,99 Euro. Insieme, per la cenetta domenicale di bentornato, ci ho preso due bei filetti. E una busta di spinaci già lavati. Fatemi causa.

La cenetta romantica alla fine non si è fatta. Il Fidanzato Asburgico è rimasto fuori per cena, ostaggio a casa di amici, e mi ha portato un bustone pieno di avanzi – zuppa di lenticchie, cotolette di zucca, salsina allo yoghurt, cavolo cinese stufato e cheesecake al mango. Ho cenato – seppur verso le dieci di sera – come una regina, come solo si cena quando ha cucinato qualcun altro e non hai nemmeno lì i piatti da lavare.

Ieri sera, immediatamente dopo il lavoro, mi sono buttata sulle melanzane. Le ho lavate, asciugate, tagliate per il lungo, incise a rombi col coltello, cosparse con sale grosso e un filo d’olio. Poi ho aggiunto l’aglio, di nuovo incamiciato. Una perversione che inizia, sinceramente, a starmi un attimo sulle balle. La ricetta dice due melanzane per quattro persone, cioè una mezza melanzana ciascuno. Come faccio a condire quattro mezze melanzane con uno spicchio d’aglio solo? Tenete anche presente che per me la mousse di melanzane non è una novità, è una roba che faccio ogni tanto. Anche nella mia ricetta ci va uno spicchio d’aglio solo, schiacciato dentro a crudo prima di frullare. Ho acconsentito all’aglio incamiciato, ma ne ho usato uno per ogni mezza melanzana nella teglia. Davvero, non volevo fare torto a nessuno.

Le melanzane le ho infilate in forno, coperte da un foglio di carta d’alluminio in cui avevo amorevolmente fatto dei buchini, alle otto meno un quarto. Dovevano star dentro un’ora. Bon, ci siamo versati un bicchiere di vino bianco e chiacchierato amabilmente mentre aspettavamo.

Un’ora più tardi non siamo riusciti a decidere se le melanzane fossero cotte o meno. Per la mia vecchia mousse, infatti, io infilo la melanzana intera in forno, semplicemente bucherellata con uno stuzzicadenti. Quando è cotta non ti puoi sbagliare, è tutta raggrinzita e molliccia. Le melanzane di Cracco, invece, le puoi valutare solo da sopra, e sopra erano piuttosto durette. Forse secche, magari ho fatto troppi buchi sull’alluminio, forse crude, in effetti sono mesi che sospetto il mio forno non si scaldi più per bene. Le abbiamo lasciate in forno altri venti minuti, poi si erano fatte le nove e mezza, le bistecche erano ancora in frigo, eravamo vagamente alticci e non ci vedevamo più dalla fame. Le abbiamo dichiarate unilateralmente cotte. Il Fidanzato Asburgico si è messo immediatamente al lavoro sulle bistecche.

La ricetta, a questo punto, recita scavate la polpa (…) e tenete la buccia come contenitore. E mi era parsa un’idea fantastica. Solo che le mie, di melanzane, si erano spatasciate parecchio, e scavate la polpa è stato un esercizio tutt’altro che facile. Dopo aver scavato le prime due, ed essermi ustionata la punta delle dita della mano sinistra, mi sono resa conto che la polpa, una volta frullata, non avrebbe mai riempito quattro pelli. Le ultime due le ho quindi pelate, brutalmente e velocemente.

Cracco a questo punto mi dava la scelta tra tritare le melanzane con un coltello o passarla nel mixer. Ora, il mixer non ce l’ho, ma mancavano pochi minuti alle dieci e i filetti erano lì belli pronti che mi guardavano con occhi tristi mentre si raffreddavano lentamente. Ho tirato fuori il minipimer, sempre sia lodato. Ho frullato le melanzane così, nature, senza aggiungere niente. Ero convinta non avrebbe avuto nessun sapore. Ho riempito due pelli di melanzana con la polpa, salato, aggiunto ancora un filo d’olio, poi la menta. Ed ero un pochino preoccupata, dato che a me la menta non piace molto, e nella mousse come la faccio io metto sempre il coriandolo fresco. Poi Cracco mi diceva a piacere aggiungete dell’aglio. Io avrei effettivamente avuto molto piacere di aggiungerlo, ma non sapevo bene come. Perché per frullarcelo dentro era tardi, e schiacciarcelo sopra è effettivamente troppo brutale persino per me. Ci ho appoggiato sopra gli spicchi d’aglio incamiciati, sentendomi molto brava massaia ad averli conservati.

Abbiamo cenato un pelo dopo le dieci – non male, in passato abbiamo fatto di ben peggio – ed era una cenetta coi fiocchi. Soprattutto le melanzane, erano buonissime! Persino la menta ci stava benissimo, e non ho nemmeno toccato gli spicchi d’aglio. Insomma, più macchinosa della mia vecchia ricetta, ma solidamente raffinata.

Unico cruccio: come anche per i bucatini, nel libro non c’è la foto delle melanzane alla menta. Anzi,Se Vuoi Fare Il Figo Usa Lo Scalogno è estremamente parco di fotografie. E io adoro, a-d-o-r-o, i libri di cucina pieni di foto! Chissà, invece magari è meglio così, meglio non avere un benchmark ufficiale cui fare riferimento. Se il piatto è riuscito o meno devi deciderlo tu da solo. Un po’ come con la psicanalisi, a pensarci.

 

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